“Lo Sputnik brianzolo? Se tutto va bene, sarà pronto per l’anno prossimo”
Parla Antonio Di Naro, titolare dell’Adienne, l’azienda che produrrà in Italia il vaccino antiCovid russo: «Ci vorrà tempo e no, la politica non c’entra proprio nulla»
LUGANO. Alt. Lo Spuntnik V prodotto in Italia non arriverà in luglio e non in dieci milioni di dosi. Almeno per il momento. I tempi per il vaccino antiCovid russo “made in Italy” saranno più lunghi. Frena Antonio Francesco Di Naro, titolare della Adienne, azienda con sede a Lugano e fabbrica a Caponago, provincia di Monza, la prima in Italia e nell’Unione europea ad aver fatto l’accordo con i russi per produrre lo Sputnik: “Dieci milioni di dosi? Io non l’ho mai detto”.
Ma la Camera di commercio Italia-Russia, nell’annunciare l’accordo, sì.
“Non so perché. Tempistiche di produzione e quantità del prodotto non posso annunciarle semplicemente perché non le conosco. Ho firmato un mese fa con i russi, siamo ancora nella fase di tecnology transfert, sto facendo l’elenco dei materiali e delle macchine che mi servono, quindi l’Aifa dovrà ispezionarmi”.
Un’idea almeno l’avrà.
“Vorrei tanto averla. Diciamo che spero di poter iniziare a produrre l’anno prossimo”.
Ha assunto rinforzi?
“Sì, cinque persone sono già arrivate e altre cinque arriveranno. Abbiamo anche ridisegnato i turni. Chiaramente prima inizieremo a produrre e meglio sarà”.
L’anno prossimo saremo tutti vaccinati, o almeno si spera.
“Lo spero anch’io. Ma forse sarà vaccinata tutta Europa. Il resto del mondo, non credo”.
Appunto: dove andranno gli Sputnik brianzoli?
“Questo lo decideranno i russi. Saranno loro a dirmi se dovrò spedirli in Russia o, poniamo, impacchettarli e mandarli in Indonesia”.
Perché i russi hanno scelto proprio la Adienne?
“Ha deciso una commissione composta di persone che conoscono bene la materia, glielo dico da chimico ed ex ricercatore. E’ piaciuto che siamo un’azienda che lavora sui suoi brevetti, che fa prodotti biologici e che segue tutta la filiera, dalla ricerca alla commercializzazione”.
Non enorme, però. Quanti dipendenti ha?
“Un’ottantina. Per il settore, siamo una media azienda”.
Ma perché i russi cercano qualcuno che produca per loro?
“Guardi che lo fanno già in tutto il mondo. Dappertutto, tranne che in Europa. La domanda di vaccini è molto forte in tutto il mondo ed è normale ingaggiare altre aziende. Anche la Pfizer non sta producendo in un solo posto”.
C’è chi dice che produrre nella Ue potrebbe servire a ottenere l’autorizzazione dell’Ema per lo Sputnik.
“Può essere un punto d’appoggio, sì”.
Davvero la politica non c’entra, in un’operazione così?
“Per quel che ne so io, no. Magari ho le fette di salame sugli occhi, ma io di politici non ne ho incontrati. Si tratta di puro business”.
Ma a Mosca è andato?
“Sì, tanti anni fa. Preferisco San Pietroburgo, però”.
Perché è così riservato? Ci sono voluti due giorni per avere quest’intervista.
“Perché sono un bergamasco e la mia regola è di parlare dopo aver fatto le cose, mai prima. E produrre un vaccino non è come fare caramelle, è un po’ più complicato. Io ho una regola. Gliela dico nel mio dialetto: ciciara mia trop”.
Traduca.
“Non parlare troppo”.