La responsabilità della scienza costretta a fare i conti con le opinioni scientifiche
Il rischio della pandemia è che essa possa far emergere il peggio e convincerci che l’isolamento sia un fatto normale che anche in futuro per difenderci dalle malattie si ricorrerà a minori gradi di socialità
Il Covid è l’esperienza più forte di tutta la mia ormai lunga vita. Osservazione questa della cui banalità mi rendo conto. Credo però si tratti anche delle esperienze tra le più forti che l’umanità abbia affrontato negli ultimi due secoli. Perché la sta affrontando con una sbagliata convinzione di consapevolezza. Difatti gli straordinari progressi scientifici, tecnologici, medici, e comunque in tema di conoscenza delle malattie e della loro genesi, hanno determinato una illusione di invincibilità. La scienza può superare tutto, perciò alla fine, vincerà. Proposizione esatta, salvo verificare il tempo della sua attuazione.
Ma soprattutto la convinzione della superiorità della scienza non ha fatto i conti con il suo doversi immergere dentro la loquacità multimediale che contraddistingue la nostra vita oggi. Per cui la scienza, che è tale se verifica i propri passaggi e risultati attraverso il confronto interno alla sua comunità, razionale e prolungato, è costretta a fare i conti con le opinioni non scientifiche. Anche per la vanità dei suoi esponenti. Allora accade che una ipotesi scientifica divenga posizione politica. E quindi inizi a muoversi ed a navigare nel terreno nel quale non esiste una superiorità basata sulla qualità del ragionamento. Esiste la parità. Le opinioni sono tutti uguali in quanto fanno riferimento all’uguaglianza dei cittadini di fronte il diritto di esprimere il proprio pensiero.
L’opinione scientifica oggi non è distinta come dovrebbe essere dalle opinioni tout court, per cui alla fine scendendo sempre di più nel livello , essa si comporta come quella sportiva. E sarebbe niente. Giacché l’opinione sportiva può essere molto seria. Si confonde con la fede. Questo fatto che sta determinando poi i comportamenti, le scelte, di ogni genere e qualità nella inconsapevolezza del quadro nel quale essa si muove e che può determinare. Voglio dire , in modo più prudente, che è diffusa l’assoluta irresponsabilità delle posizioni espresse per la mancanza di consapevolezza del quadro reale nel quale si vanno a collocare
Allora, due o tre morti sicuramente ricollegabili ad una vaccinazione, divengono per taluni di la dimostrazione della pericolosità del farmaco e della operazione di vaccinazione. Opinione che senza alcuna dimostrazione conquista la medesima dignità che avrebbe se fosse basata su una dimostrazione e viene perciò legittimamente contrapposta al dubbio di chi invece dice, fatemi prima capire. Vince perché è più veloce. Vince perché la velocità di una rappresentazione pubblica prevale sulla sua qualità, sulla sua ontologia, la sua genesi.
Tutto abbastanza normale. Passando ad altre esperienze, è di questi giorni una grande vicenda finanziaria statunitense nella quale si è avuta la novità di un movimento di mercato, ovverosia somma di investimenti condotti sulla base di una opinione di bontà politico culturale, dunque di una qualità sociologica senza nessuna valutazione economico finanziaria. Il bello è che sono emersi imprenditori veri della finanza che hanno al volo utilizzato le stesse spinte di massa, rincorrendone il movimento di danaro e strutturando su di esse veri e propri movimenti finanziari.
Questi fatti mostrano la possibile emersione del peggio, cioè del comportamento scollegato da qualunque effettiva valutazione dell’ interesse comune, di una giustificazione sociale, ma guidato dalla semplice, selvaggia, affermazione di ricerca del lucro personale. E’ una forma di perdita della socialità.
Intendo dire che quando ci si abitua a non vedere fisicamente il proprio simile, ma, di fatto, a considerarlo un veicolo di infezione dunque da evitare almeno nel rapporto ravvicinato, quando si mette di necessità la comunicazione nei limiti della tecnologia escludendo quello che la tecnologia dovrebbe soccorrere e facilitare, non sostituire, e cioè il gioco degli occhi, delle mani, delle parole vissute dalla presenza, la comunicazione stessa cambia. Non è più comunicazione tra due conviventi di dentro uno stesso mondo condiviso. È comunicazione fra due entità titolari di confliggenti diritti di sopravvivenza. È comunicazione essenzialmente difensiva. Egoistica, se del caso, aggressiva.
Il rischio della pandemia è che essa possa far emergere il peggio, l’isolamento, e che possa convincerci del fatto che esso è vita normale e che anche in futuro difenderci dalle malattie dovrà essere costituito da minori gradi di socialità e di abolizione della fisicità. Non è difficile immaginare che si possono formare gruppi sociali sempre più piccoli è sempre più forti economicamente, sempre più dotati della possibilità di difendersi dal virus, attuale ed ipotizzati da una influente pubblicistica come costante periodica del nostro futuro, meglio degli altri, e pertanto capaci di creare degli ambienti nei quali vivere in modo esclusivo una socialità, pur ridotta nella sua quantità, ma effettiva. Abbandonando gli altri ad una esistenza in difesa. Questo dipenderà dalla disponibilità di finanza, di beni della vita e di strumenti giuridici, economici, culturali, per adoperarli nel modo più conservativo. Il rischio, insomma, e che la pandemia insegni a rifugiarci tutto di dentro piccole isole di potere e di sanità, la cui unica politica sarebbe quella della conservazione della relazione di forza conquistata.
Si parla molto in questi giorni di cambiamenti politici indotti dalla pandemia e dal fortissimo scontro sociale. Osservare la differenza tra coloro i quali, garantiti da uno stipendio che continuava ad arrivare automaticamente sul conto corrente bancario cantavano sui balconi mentre il bar più o meno abusivo, mentre la fabbrichetta da più o meno legale, mentre le attività i faticosamente corrette, vedevano ridurre i propri margini di sostenibilità economica a livelli assolutamente ridicoli, mai visti da decenni, è stato molto pesante. Ha raffigurato in modo plastico la mancanza di consapevolezza del quadro d’insieme. L’irresponsabilità, mentre abbiamo bisogno soprattutto di responsabilità. Cioè di consapevolezza costante delle interazioni che debbono esistere perché una democrazia sia tale.
In questo momento vedo solo la sgradevolissima vicenda della corsa all’affermazione della propria appartenenza ad una categoria di lavoratori essenziali e quindi da privilegiare nella scelta del vaccino. Mi sono sempre domandato in questi giorni tremendi cosa ci possa essere, medici di corsia a parte, di più essenziale del lavoro del poliziotto, giacché mi pare difficile immaginare un arresto con mascherina e distanziamento, ed altresì quello della commessa del supermercato, costretta ai ritmi automatici della chiamata alla singola cassa di un pubblico sempre più veloce, sempre più carico del terrore di rimanere senz’acqua minerale. Invece mi par di capire che non ci sia in Italia una sola categoria, sociale o lavorativa, che non sostenga a gran voce di essere essenziale. Ad onta della lezione di civiltà e di eleganza impartita dal presidente Mattarella. Ecco mi pare che tutte queste evidenze dimostrano il pericolo. E la necessità di un’attenzione politica, anche di imperio, che eviti queste derive.