Le regole della camorra: intimiditi e costretti a inginocchiarsi sulla statua del baby boss
L’altarino dedicato a Emanuele Sibillo è diventato momento di celebrazione del potere criminale e di violenza
Portati al cospetto della statua del defunto baby boss. Costretti a inginocchiarsi, ad ogni modo intimiditi, minacciati. Nella Napoli che troppo spesso esclude dal dibattito pubblico il tema della camorra e della sopraffazione, il clan Sibillo è riuscito a imporre le sue regole (criminali) in modo anche sfacciato. Lo ha fatto evocando il nome del suo leader più rappresentativo per spingere i commercianti a corrispondere il pizzo. Di più: lo ha fatto piegando ai propri scopi simboli religiosi che dovrebbero avere ben altre finalità. Così l’altarino dedicato a Emanuele Sibillo (una struttura in alluminio con all’interno un busto, posto su un piedistallo, raffigurante le sembianze del ragazzo), è divenuto momento non di ricordo familiare (il giovane fu ammazzato nel 2015 nell’ambito della guerra di camorra tra la cosca e il gruppo dei Buonerba), ma di celebrazione del potere criminale e di violenza. Di celebrazione del potere criminale perché, come annotato dagli inquirenti, dinanzi a quell’altarino - presso il civico 26 di via Santi Filippo e Giacomo nel centro storico - sfilavano non solo appartenenti al gruppo criminale, ma finanche bambini. Quei bambini figli dei vicoli ma anche bambini che frequentavano la scuola media Confalonieri ubicata nei pressi dell’edificio: «Effettivamente capita spesso che alcuni ragazzini che frequentavano la vicina scuola media, si fermano davanti alla cappella per ammirare foto e busto di Emanuele Sigillo», ha spiegato una persona ascoltata dagli inquirenti.
Celebrazione del clan e violenza. La violenza esercitata, ad esempio, ai danni del titolare di un negozio di biancheria intima dal quale il clan pretendeva il pagamento del pizzo. Il 24 febbraio del 2018 l’uomo venne convocato nel «palazzo della buonanima», espressione che rimandava all’edificio nel cuore di Forcella ove abitava Sigillo e ove la famiglia aveva realizzato un altarino con tanto di testa raffigurante quella di Emanuele. Da lui il clan pretendeva 50mila euro perché «noi sappiamo che avete le case di proprietà e quindi o mi date 50mila euro o la casa….» e «se pensate di andare dalle guardie, dopo di noi ci sono altre 10 persone che ti possono uccidere» e, nel frattempo, «tu non apri il negozio in quanto te lo incendiamo». E proprio ai commercianti è toccata la sorte più disgraziata. C’è stato anche chi si è visto costretto a inginocchiarsi dinanzi a quel busto, allo scopo di riconoscere la supremazia del clan. Storie di camorra, racchiuse oggi nell’ennesima inchiesta che la procura di Napoli e i carabinieri hanno confezionato ai danni del clan che, nonostante importanti arresti e pesanti condanne di qualche anno fa, continua a rigenerarsi e a operare nel cuore di Napoli. Storie di camorra che questa mattina sono sfociate in 20 arresti (tra carcere e domiciliari) e in una misura di divieto di dimora per reati, contestati a vario titolo, di spaccio di sostanze stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, detenzione e porto abusivo di armi da fuoco con le aggravanti delle finalità mafiose. Storie di camorra che stamattina hanno portato anche alla rimozione di quell’altarino, che la famiglia Sibillo aveva letteralmente imposto agli altri condòmini (avevano trasformato una precedente edicola votiva) finendo così con il rimediare una specifica accusa di estorsione.