Tante varianti, ma sempre più simili fra loro. Baldanti: «La prova che il virus è in declino»
Pavia, la conclusione del direttore del laboratorio di Virologia del San Matteo, impegnato nel monitoraggio di focolai e viaggiatori sul territorio
PAVIA. Varianti Covid che si moltiplicano, ma che tuttavia presentano mutazioni spesso “fotocopia”, cioè cambiamenti all’interno che si somigliano sempre di più fra loro. Il laboratorio di Virologia Molecolare del San Matteo, con a capo il professor Fausto Baldanti, sta conducendo un monitoraggio continuo delle ultime varianti arrivate: la più recente, e preoccupante perchè se ne conosce ancora poco, è quella indiana. Ma, anticipa Baldanti, «ciò che vediamo ci porta a pensare sempre più convintamente che il virus stia finalmente incontrando una fase che potremmo definire di declino».
Professore, avete trovato casi di nuove varianti in provincia di Pavia? Ad esempio di quella indiana?
«Non ancora. Ma quest’ultima non è molto diversa da altre».
Ci spiega?
«La variante indiana presenta due mutazioni: una nella posizione 484, come anche quelle sudafricana e brasiliana, e una seconda in posizione 452 della spike che la caratterizza. E non si differenzia poi così tanto, appunto, dalla brasiliana e dalla sudafricana, diciamo che non è completamente nuova».
La state studiando? Parlo di quella indiana.
«È sotto i nostri riflettori. Sappiamo che ha avuto un’ampia diffusione in India, e anche che lì si attesta intorno al 10% dei casi analizzati. Quindi sta avendo un impatto diverso rispetto, ad esempio, a quella inglese, che ha portato al 100% dei casi di contagio. In India si è registrata sì un’impennata della curva dei casi, ma non ascrivibile alla variante indiana, semmai ad altri fattori».
E quali sono i fattori che hanno influito sul dilagare dei contagi?
«Ad esempio quelli sociali e religiosi, vedi il pellegrinaggio sul Gange, che ha coinvolto milioni di persone. Inoltre una situazione socio-sanitario molto diversa dalla nostra. Quindi lì c’è un problema che ha radici diverse da quelle che vediamo».
Vi preoccupa?
«Sicuramente su questa cosa c’è attenzione. Anche noi stiamo monitorando la situazione. Sono stati riferiti due casi in Veneto: due viaggiatori che rientravano dall’India ed erano stati in pellegrinaggio sul Gange. Fino ad ora non abbiamo riscontrato casi in provincia di Pavia, come pure sul territorio lombardo, ma teniamo sotto controllo un fenomeno che potrebbe cambiare da un momento all’altro».
Parliamo delle altre varianti in circolazione. Quante sono?
«Ce ne sono diverse, minori, che non destano preoccupazione. E le stiamo tracciando. È una questione di incroci, un “gioco d’incastri”. Per entrare nel merito, ad esempio, la mutazione 501 della variante inglese effettivamente l’ha resa più contagiosa, ma questa, in posizione 484 della brasiliana, non sembra renderla più contagiosa».
La vostra è una vera e propria macchina dei controlli, che portate avanti da mesi a ritmi elevatissimi.
«Ogni giorno eseguiamo 50 sequenziamenti, che diventano 350 alla settimana e 1.400 al mese. Due giorni fa, ad esempio, oltre ai sequenziamenti che dovevamo portare a termine per il programma di Survey (sorveglianza) dell’Istituto superiore di sanità, abbiamo fatto oltre 200 sequenze».
Cosa mettete sotto la lente d’ingrandimento?
«Sequenziamo focolai, viaggiatori, e qualche persona che si è si è infettata dopo la prima e la seconda dose».
In provincia di Pavia quanti vaccinati sono tornati a contagiarsi?
«Direi una ventina da dicembre, meno dell’1%. E in tutti i casi si tratta di variante inglese, perchè è quella più comune».
Quali altre varianti avete trovato?
«Qualche brasiliana, ma sporadicamente, e qualche sudafricana: in tutto una o due unità alla settimana. Ma, diciamolo, il Covid-19 è un virus che non può mutare all’infinito».
Vuole dire che la catena potrebbe interrompersi?
«Voglio dire che le diverse varianti mutano sempre negli stessi posti. E, come abbiamo notato più volte, la mutazione 484 ritorna. Quindi questo significa che più di tanto un virus non può trasformarsi nel punto in cui la proteina Spike aggancia le cellule».
In particolare cosa avete osservato in questi ultimi tempi che vi porti a questa deduzione?
«Abbiamo osservato che, se le mutazioni cominciano a ritornare nelle stesse posizioni, si è ad un punto in cui il virus potrebbe anche non evolvere. La zona di aggancio del Covid-19 è una proteina Spike, costituita da tre catene uguali associate (“trimerica”) e costituita da una regione che somiglia al gambo di un fiore con, al posto della corolla, la regione essenziale per il contatto con le cellule da infettare (chiamato RBD, dall’inglese receptor-binding domain, “dominio che lega il recettore”). Questa parte della molecola è flessibile come una banderuola al vento, ed è in grado di “cercare” nei dintorni il recettore ACE2 con cui interagire. E coinvolge un numero piccolo e finito di aminoacidi cioè di posizioni».
Questo cosa prova?
«Che le posizioni non possono mutare all’infinito perchè sono in numero limitato. Ora stiamo osservando mutazioni che tornano negli stessi punti. Questo suggerisce che il virus possa essere nella condizione di stare esaurendo le possibilità di mutazione che ha nella zona di aggancio della proteina. Parlo della mutazione 484, trovata per la prima volta nel gennaio scorso, che abbiamo riscontrato nella variante brasiliana, e poi anche in quella sudafricana, associata alla mutazione 417. Ed infine a quella indiana, associata alla mutazione 452».
Possiamo dire che il virus sta allentando la corsa verso la sopravvivenza?
«Speriamo che queste somiglianze siano l’indicazione che effettivamente il Covid che abbiamo conosciuto sia impossibilitato a mutare all’infinito».
E, se fosse così, cosa diventerebbe?
«Potrebbe trasformarsi definitivamente in un virus umano a bassa intensità».
Come un’influenza?
«Non me lo faccia dire». —