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Il lavoro è ancora smart: per metà delle imprese il rientro può attendere

PAVIA. In molte aziende private ed enti pubblici non è ancora arrivata la fase del graduale ritorno in sede per chi lavora in smart working. La modalità che ha conosciuto un vero e proprio boom con la pandemia è tuttora largamente utilizzata e lo sarà anche con il ritorno alla normalità: ancora a fine novembre, secondo le indagini di Assolombarda, il 49% delle imprese pavesi sondate aveva almeno un dipendente in smart working (il 72% comprendendo anche Milano, Monza e Brianza e Lodi). E la situazione non si è modificata sostanzialmente negli ultimi mesi.

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«Il lavoro da remoto è tuttora molto utilizzato, sia pure con differenze dipendenti dal settore di attività e dalla dimensione aziendale – conferma Valeria Innocenti, direttore area lavoro e previdenza di Assolombarda – è una modalità consigliata dal protocollo sulla sicurezza siglato con i sindacati e credo che lo sarà, per contenere contagi e spostamenti, durante la campagna di vaccinazione». Innocenti ha coordinato assieme Massimo Bottelli la pubblicazione «Il lavoro agile oltre l’emergenza» di Assolombarda, in collaborazione con Adapt. La conclusione è che «i prossimi mesi saranno cruciali non solo per la gestione della pandemia e delle sue conseguenze economiche e sociali, ma anche per riprogettare il lavoro, la sua organizzazione, le sue logiche di gestione e il rapporto stesso tra imprese e lavoratori».

Tra gli aspetti problematici emersi ci sono la sicurezza, gli orari di lavoro, la formazione a distanza, il fatto che non tutte le imprese avevano un grado di digitalizzazione sufficiente a supportare la nuova modalità, inoltre che c’è una percentuale, molto variabile, di lavoro che non può essere eseguito da remoto. «Alcune imprese hanno lamentato la maggiore difficoltà di innovare, così come di trasmettere i valori aziendali, soprattutto ai più giovani, appena entrati – spiega Innocenti – altre ancora avevano fatto grossi investimenti sui luoghi di lavoro per renderli più confortevoli. Un certo numero di imprese ha fatto dei corsi per mantenere alto il grado di benessere dei dipendenti». Nel complesso, però, il bilancio è abbastanza positivo con diversi aspetti migliorativi: «La conciliazione lavoro-casa, la spinta alla digitalizzazione, un incremento della responsabilizzazione e del rapporto di fiducia. Lo smart working deve comunque essere una scelta libera, fatta se funzionale all’organizzazione dell’impresa».

Sul fronte sindacale, Elena Maga, segretaria generale della Cisl, pur apprezzando i diversi benefici che lo smart working ha portato sia per i lavoratori che per le aziende (anche sotto forma di risparmi), si dice convinta che il graduale rientro alla normalità debba riguardare anche la pubblica amministrazione: «Ci sono alcune attività che devono essere svolte in presenza. Abbiamo ricevuto in questi mesi tante segnalazioni di utenti che avevano difficoltà a comprendere il linguaggio usato dagli enti pubblici nella comunicazioni via mail, così come per il ritardo nel fornire le risposte: in questi casi è fondamentale avere un contatto di persona». Allo stesso tempo uno dei punti più delicati sul versante lavoratori è il diritto alla disconnessione, ma anche il dovere di lavorare come se si fosse in sede. «Il rischio di isolamento e la mancanza di confronto sono altre questioni chiave – prosegue Maga – in particolare per le donne la mancanza di una vita sociale, visto il tempo passato in casa tra lavoro e impegni familiari». 

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L'Eni a Sannazzaro

Il Covid e la contemporanea crisi energetica del settore minerario hanno mutato l’organizzazione del lavoro anche alla raffineria Eni di Sannazzaro, dove sono in forza circa seicento dipendenti. Alcuni impianti produttivi sono fermi ed in manutenzione straordinaria tra cui l’Eni Est, quello dell’incendio del 2016 e ritenuto “strategico” perché garantisce il recupero degli scarti del petrolio. «Al polo produttivo di Sannazzaro, al momento, il personale in smart working è in media del 40% di quello giornaliero con quote maggiori negli uffici e minori tra il personale operativo - spiegano da Eni -. Nel 2020, durante il lockdown, si è arrivati ad avere fino al 70% del personale in smart working con quote minime per i turnisti che hanno sempre garantito in presenza la supervisione degli impianti e la sicurezza in azienda». «Per ragioni di sicurezza e per evitare il più possibile i contatti tra gli operatori - dice Alberto Pozzati della Uiltec - è stato favorito lo smart working privilegiando i lavoratori amministrativi, informatici, quelli della contabilità, alcuni tecnici che, a rotazione, svolgono le loro mansioni da casa. Ben diverso il lavoro in presenza con i turnisti e molti giornalieri impegnati sugli impianti in funzione. Si può ipotizzare che meno di un quinto dell’organico lavora da casa». Maurizio Ferrari della Femca-Cisl va oltre: «Covid e crisi dei consumi devono ancora essere superati. A Sannazzaro attendiamo un piano industriale che identifichi i nuovi assetti produttivi. Per intanto il lavoro si è stabilizzato con una platea giornaliera di lavoratori in presenza fatta in prevalenza di operatori di impianto. In questa scelta operativa c’è sempre stata piena condivisione tra azienda e sindacati».

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Il Polo tecnologico a Pavia

Il 21 febbraio 2020 è stato l’ultimo giorno di lavoro in presenza per i 130 dipendenti di FacilityLive, una delle 39 aziende tech ospitate al polo tecnologico di via Fratelli Cuzio a Pavia. Il Polo però non ha mai chiuso i battenti: «Dei 350 addetti del Polo, circa un terzo lavora da remoto da oltre un anno» spiega Tommaso Mazzocchi, presidente di Durabo Spa e del Polo. Con qualche differenza: «Noi abbiamo riorganizzato gli spazi per le nuove esigenze e i professionisti appena hanno potuto sono tornati nel Coworking - spiega Mazzocchi -. Le aziende più grandi hanno preferito stare a distanza. Ora, dopo oltre un anno, è il momento di decidere cosa fare: molti hanno scelto una modalità ibrida, parte in presenza e parte a distanza, riducendo gli spazi e i canoni da pagare». Tra le aziende che hanno da subito abbracciato in pieno l’opzione da remoto c’è Funambol: «Noi eravamo già pronti - spiega il direttore operativo Stefano Nichele - molti di noi infatti lavorano a distanza da un decennio con i team a Berlino e in Portogallo. Una volta obbligati non abbiamo avuto impatti particolari, dopo l’estate abbiamo ricominciato a frequentare l’ufficio in percentuali molto basse, poi scese di nuovo. Ora siamo in presenza al 25%, a rotazione: l’idea è di mantenere l’opzione da remoto. Ai lavoratori permette di gestire meglio il tempo, alle aziende di assumere i migliori anche se lontani da Pavia. Una possibilità ancora più rilevante dopo aver dimostrato che non è necessario stare nello stesso ufficio per lavorare bene». «Noi abbiamo introdotto lo smart working all’inizio del 2016 - spiega Mariuccia Teroni, cofondatrice, presidente e responsabile risorse umane di FacilityLive - ma veniva usato in caso di necessità, quando c’era l’impossibilità di raggiungere il posto di lavoro. Quando il 21 febbraio del 2020 è stata data la notizia del paziente zero abbiamo deciso di restare tutti a casa: avevamo già un metodo. Da allora ho assunto una trentina di persone perché il digitale ha avuto una spinta enorme». Come si gestisce un’azienda a distanza? «Abbiamo portato in un ambiente virtuale le abitudini dello spazio fisico. Siamo sempre tutti collegati: invece di bussare alla porta del collega, busso su Zoom. Serve grande collaborazione, ma questa modalità ha accorciato le relazioni e ci ha spinto a comunicare in modo diverso. Per il futuro è una questione di equilibri: il nostro equilibrio sarà dato da una quota di smart e una quota di presenza e sarà la sommatoria degli equilibri dei singoli». Teroni è ottimista: «Stiamo vivendo una grandissima trasformazione, sul lavoro stanno cambiando i campi da gioco, i giocatori, i tempi, gli schemi, le relazioni. Ma non sono cambiate le regole: serve invece un contratto collettivo nazionale di lavoro per il digitale. Non possiamo continuare a usare quello metalmeccanico, del commercio o Unimatica, con regole contestualizzate in un’epoca diversa. Il lavoro per essere agile deve consentire alla persona di essere agile: ora non posso decidere di lavorare in un posto oggi e domani in un altro, l’azienda deve denunciare dove si trova il lavoratore. Difficile, così, creare un buon bilanciamento tra vita privata e lavorativa. E altrettanto fondamentale è sostituire la cultura del controllo con quella della responsabilità».

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L'università

«Lo smart working non si fa per decreto. Per evitare il rischio che si torni indietro, alla situazione pre-pandemia, bisogna affrontare una battaglia culturale in modo da superare certe resistenze». Pietro Previtali, pro rettore dell’Università alle Risorse umane, sul lavoro agile ha sempre puntato, con la conseguenza che l’ateneo è stato tra le pubbliche amministrazioni quella che più ha spinto sull’utilizzo della nuova modalità, anche assecondando il balzo in avanti determinato dall’emergenza sanitaria. E ora che si prospetta un graduale ritorno alla normalità ha intenzione di mantenere alta la quota di dipendenti che svolgeranno le loro mansioni senza la necessità di andare in ufficio (o almeno non tutti i giorni). Ancora la scorsa settimana, comunque, ben 415 dipendenti dell’ateneo hanno lavorato 2 o 3 giorni da remoto, una percentuale di circa il 50%. «Abbiamo già pronto il Pola, il Piano organizzativo per il lavoro agile, che ci consentirà in base al nuovo decreto di non scendere sotto la soglia del 30% di dipendenti in smart working – dice Previtali – le leggi e i decreti sono importanti, ma non bastano: serve una svolta culturale per far funzionare lo smart working in modo davvero agile, evitando di considerarlo una concessione e quindi con la pretesa di burocratizzare il rapporto tra capufficio e lavoratore». È qui, nelle resistenze che il pro rettore vede in particolare tra i capufficio, che c’è il rischio di un “effetto risacca”, ovvero che si torni alla situazione di gennaio 2020 «quando eravamo a zero smart working». Mentre sul fronte lavoratori la modalità agile - che nel pieno della pandemia ha sfiorato punte del 90% - ha riscosso grande successo. «Lo smart working - e non parliamo di quello forzato nel picco della pandemia, che serviva in realtà a contenere i contagi - serve a bilanciare la vita personale con quella lavorativa. Il ritorno alla normalità andrà governato bene. Sarà una bella sfida organizzativa».

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Il Comune di Pavia

Arrivato con l'emergenza dovuta alla apandemia, si è dimostrata una soluzione che potrebbe ora essere adottata anche per il futuro, seppure da modulare nel periodo post pandemia. Lo smart working è stato un passaggio necessario, come altrove, vissuto anche dai dipendenti comunali senza grossi scossoni. «Del resto non c'era possibilità alcuna di muoversi in altro modo _ conferma l'assessora al Personale, Formazione, Sviluppo risorse umane e Pari opportunità Barbara Longo _. La situazione è stata accettata di buon grado dai dipendenti e devo dire che anche grazie al loro impegno tutto ha comunque funzionato nella complessa macchina amministrativa, nonostante la situazione di straordinaria emergenza che noi, come tutti, abbiamo vissuto». Attualmente, conferma la Longo, circa il 50 per cento degli impiegati lavora da casa. «Non tutti i giorni magari, c'è un'alternanza in presenza _ spiega _ anche se molto dipende dai vari uffici naturalmente». Non per tutti, infatti, è stato possibile applicare il "lavoro agile". «La polizia locale è stata in prima linea _ aggiunge _. Alcuni settori, come la polizia mortuaria, ha dovuto addirittura garantire ancora più impegno, purtroppo, nel periodo più buio della pandemia». Lavoratori contenti? «Beh, diciamo che ci sono vantaggi e svantaggi. Fra i primi certamente c'è la possibilità di conciliare di più il lavoro con la vita familiare, ove questo naturalmente sia possibile. Dall'altro, però, se ne risente sotto il profilo della socialità, perchè lavorare in presenza vuol anche avere contatti. E credo che non sempre sia piacevole rimanere chiusi nelle quattro mura di casa. Quindi risponderei con un "nì". Meglio l'alternanza fra presenza e telelavoro». «Il Comune _ conclude _ ha comunque fornito per chi ha lavorato e lavora da casa gli strumenti per potere continuare a svolgere le proprie mansioni, a partire dal pc. Si andrà avanti anche dopo? Penso di sì».

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La Provincia

Lo smart working è in fase di adeguamento dopo l'ultimo decreto. Da lunedì scorso non c'è più l'obbligo di "almeno il 50%" ma del 15%». A dirlo è Vittorio Poma presidente della Provincia. Uno dei primi enti pubblici, a dire la verità, che in tempi non sospetti aveva iniziato l'esperimento del lavoro da casa. Già dal 2017, infatti, piazza Italia aveva aderito al progetto sperimentale per il lavoro da casa. Quando appunto lo spettro di una pandemia a livello mondiale che avrebbe cambiato per sempre le nostre abitudini (a partire da quelle professionali) era lontana se non impensabile. «Si tratta di un'iniziativa del Consiglio dei ministri a cui avevano aderito quattro anni fa una quindicina di enti pubblici, fra cui noi, unica amministrazione provinciale a partecipare_ sottolinea Poma _. Il progetto chiedeva di individuare 32 figure che potessero lavorare in smart working. Da noi, 21 persone avevano aderito già nel 2018. Così abbiamo approvato il regolamento che, nel periodo di emergenza, ci è tornato utile per gestire la situazione di emergenza». Lo scorso anno, nel periodo più duro della pandemia, su 246 dipendenti, quasi 130 stanno, a turno, hanno lavorato da casa. Come in tutti gli enti pubblici, non per tutti è stato possibile naturalmente lavorare da remoto per via delle funzioni specifiche che richiedevano, e richiedono, la presenza. Ma non è tutto. Lo scorso anno l'amministrazione provinciale ha approvato un maxi-investimento per potenziare il lavoro agile, con quasi 400 mila euro stanziati per interventi di cablaggio e protezione rete dei dati. «Proprio per agevolare chi dei nostri dipendenti può lavorare da remoto e soprattutto mettere anche in sicurezza tutto il nostro sistema di protezione dati e cablaggio _ sottolinea Poma _ abbiamo deciso di investire una somma così importante». Il futuro, in questo senso, appare quindi tracciato. «Ogni singolo dirigente dovrà organizzare le attività da remoto in funzione delle necessità di ogni settore _ dice ancora il presidente dell'amministrazione provinciale _. Questo per garantire la presenza almeno un giorno a settimana per il personale in smart working»

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