Nell’era digitale si soffre e ci si sfoga sui social: «Paura di chiedere aiuto»
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Giulia spiega di essere stata male, a casa, senza vedere nessuno, con i genitori al pc per lavoro 10 ore al giorno: «Tutti siamo stati male, è un diritto farlo sapere a chi ci guida verso l’età adulta»
Siamo nel 2021, nel mezzo dell’era digitale che ci dà la possibilità di comunicare in modo istantaneo ed immediato, azzerando le distanze. Tutto è cambiato a partire dal modo di esprimersi, di lavorare, di vivere. Oggi non ci si saluta più con “ciao”, ma con “bella zio”, “bro”, “we fratm”, e tanti altri termini da “Millennials” (o GenZ, ndr).
Questa generazione è nata nell’era in cui è possibile parlare con qualcuno a migliaia di chilometri, utilizzando un parallelepipedo grande poco più di una mano, il telefono. Nessuno si sarebbe mai aspettato una pandemia. In questo anno in cui siamo stati chiusi in casa forzatamente, abbiamo cercato una nuova normalità, nuovi modi per trascorrere le giornate, nuovi passatempi. La soluzione più comune è stata l’uso dei social network, o come li chiamo io, seconda vita. Perché online è più facile agire, impersonare, comportarsi in un certo modo. È facile fingere e mentire. Io stessa ho trascorso molto più tempo sui social durante la pandemia, non avendo altro da fare: i miei genitori erano entrambi in smart working e mio fratello ancora troppo piccolo per capire la situazione. Durante questo periodo ho fatto molte conoscenze, ho avuto più tempo per me, per quello che mi piace fare e, inizialmente, stavo anche abbastanza bene. Per passare il tempo, i ragazzi (ma anche gli adulti) hanno iniziato a sfogarsi sui social network condividendo pensieri, esperienze fatte in pandemia, problemi, e sfidandosi nelle cosiddette “challenge”. Ma a quanto pare, la situazione è sfuggita di mano.
L’interazione sociale fa parte dell’essere umani, è impossibile vivere senza il contatto con altre persone. Non il contatto digitale, quello è solo una soluzione temporanea. Durante la pandemia si sono create molte situazioni spiacevoli nelle famiglie: convivenza forzata, litigi, separazioni.
Io ho iniziato a stare male perché i miei genitori erano troppo presi dal lavoro, passavano anche 10 ore davanti al computer, trascurando sia me che mio fratello. Penso che quello che è successo a me sia capitato anche a tantissimi altri ragazzi, magari per motivi diversi come la scuola o l’instabilità economica. Ognuno ha trovato un modo diverso per sopportare: c’è chi si ribella, chi si isola, chi si sfoga, e chi non riesce a trattenersi e preferisce andare all’altro mondo, magari nemmeno di sua volontà. La combo Covid - internet ha cambiato il mondo in negativo. Le stesse persone che ora soffrono di disturbi psicologici tra 15 anni saranno ingegneri, medici, politici, avvocati, imprenditori, personaggi famosi. La colpa di questa situazione, a mio parere, è degli adulti: i “boomers”, nati negli anni del boom economico. Sono i genitori, gli insegnanti, i politici, i capi di stato che mettono sotto pressione i ragazzi e li riempiono di responsabilità che non gli spettano. I sistemi sono sbagliati, le loro mentalità conservatrici sono peggio. Non è concepibile soffrire di ansia sociale perché si viene discriminati a scuola, o ansia generale perché si viene controllati e valutati costantemente.
Io non ho ancora trovato una soluzione a questi problemi, ma conto di trovarla. Chi, in questo periodo, è arrivato a decisioni estreme non aveva più la forza di continuare a sopportare, e ha preferito lasciare le sue responsabilità ad altri. Fortunatamente non ho ancora toccato il fondo; anzi, mi sto riprendendo. Spero che tutti i ragazzi in difficoltà trovino la forza di andare avanti, utilizzando tutti i mezzi a loro disposizione. La pandemia ha causato un buco nella crescita di noi ragazzi, a prescindere dall’età. Per più di un anno non abbiamo avuto la possibilità di avere interazioni sociali costanti e ci siamo dovuti accontentare, soprattutto chi è stato a stretto contatto con adulti incapaci di offrire rassicurazione. Se potessi mandare un messaggio ai miei coetanei, vorrei consigliare loro di esporre i loro problemi, per quanto complicati o banali. Nascondere l’evidenza è sbagliato, tutti siamo o siamo stati male almeno una volta in questo periodo, ed è un nostro diritto farlo sapere a chi in questo momento ci guida verso l’età adulta. Vorrei che tutti trovassero il coraggio di parlare senza timore di essere sminuiti oppure ignorati, in modo da poter ricevere il giusto supporto. Poter parlare dei propri problemi ed essere capiti risolverebbe molte cose, si ridurrebbero le sofferenze e i suicidi. Se gli adulti di oggi fossero più propensi ad ascoltare i giovani, non ci sarebbe più bisogno di sfogarsi sui social, o peggio ancora, di desiderare la morte. —
Giulia
Itis Cardano