Strage del Mottarone, il caposervizio dell’impianto ammette di aver messo il “forchettone”: «Porterò questo peso per sempre»
Interrogati in carcere i tre indagati. Tadini ha detto al gip che non avrebbe mai fatto salire le persone se avesse pensato che la fune potesse spezzarsi. Il direttore nega di aver saputo dell’uso delle ganasce
STRESA. Sono stati interrogati nel carcere di Verbania i tre fermati mercoledì scorso per l'incidente della funivia del Mottarone che ha causato domenica scorsa 14 morti, tra cui due bimbi, e un ferito grave, il piccolo Eitan di 5 anni, ancora ricoverato. Il primo ad essere ascoltato è stato il caposervizio dell'impianto Gabriele Tadini, difeso dal legale Marcello Perillo, che già martedì sera ha reso le prime ammissioni spiegando di aver deciso lui di piazzare e mantenere i forchettoni sulle ganasce che hanno disattivato il sistema frenante d'emergenza, che non è scattato quando il cavo traente si è spezzato.
Tadini ha ammesso di aver messo il ceppo blocca freno altre volte, ha spiegato che le anomalie manifestate dall'impianto non erano collegabili alla fune e ha escluso collegamenti tra i problemi ai freni e quelli alla fune. Tadini aveva messo il "forchettone" per evitare blocchi della cabinovia dovuti alle anomalie dei freni. Così però quando la fune si è spezzata, la cabina numero 3 non è rimasta agganciata al cavo portante ed è volata via.
«Non sono un delinquente. Non avrei mai fatto salire persone se avessi pensato che la fune potesse spezzarsi. Porterò il peso per tutta la vita, sono distrutto perché sono morte vittime innocenti»: è quanto avrebbe detto Tadini, secondo il suo legale. «Sono quattro giorni - ha spiegato l'avvocato -che Tadini non mangia e non dorme». I forchettoni «non erano fissi sulla cabina tutto il giorno tutti i giorni. Il problema non era fare funzionare per forza la funivia, ma che le pompe che perdevano di pressione potevano far fermare la cabina a metà strada, con un obbligo di intervento di emergenza con il cestello. Questo era il motivo per cui lui faceva funzionare comunque la funivia con il bloccafreni». Lo ha spiegato l’avvocato Perilo, riferendo quanto detto durante l’interrogatorio da Gabriele Tadini. Il difensore ha chiesto i domiciliari per il suo assistito.
Per il procuratore Olimpia Bossi e il pm Laura Carrara (presenti agli interrogatori), che hanno chiesto per tutti la convalida del fermo e di custodia in carcere, la scelta di Tadini, come da lui stesso chiarito, sarebbe stata avallata per motivi economici dal gestore Luigi Nerini (difeso dall'avvocato Pasquale Pantano) e dal direttore di esercizio Enrico Perocchio (il suo legale è Andrea Da Prato).
Gli altri due sono stati interrogati dopo Tadini. L’ingegnere Enrico Perocchio, direttore tecnico della funivia, ha sostenuto di «non aver mai saputo dell’uso delle ganasce».
Sarà il gip Donatella Banci Buonamici a dover decidere sulla convalida e sull'eventuale misura cautelare. Per la Procura ci sono tutte le esigenze cautelari: pericolo di fuga, di reiterazione del reato e di inquinamento probatorio.