Era una delle “bestie di Satana”, oggi lavora in tribunale a Pavia
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Eros Monterosso ha già scontato in carcere più di 15 anni. Il suo avvocato: «Un uomo cambiato, vuole solo rifarsi una vita»
PAVIA. Nel 2007 fu condannato in via definitiva a 27 anni per avere fatto parte del gruppo denominato “le bestie di Satana”, attivo in provincia di Varese e ritenuto responsabile di tre omicidi e di avere spinto un altro giovane al suicidio. All’epoca della condanna Eros Monterosso aveva 30 anni. Oggi ne ha 44 e lavora in tribunale a Pavia, smistando fascicoli per l’Ordine degli avvocati. Studia per laurearsi in Sociologia all’Università di Milano. «È bravissimo», dice chi lavora accanto a lui.
In carcere Monterosso ha trascorso più di 15 anni. Ad aprile è uscito dalla sua cella a Torre del Gallo ottenendo la possibilità di scontare il residuo della pena con l’affidamento in prova ai servizi sociali. «È un uomo profondamente cambiato, che si è lasciato alle spalle un vissuto doloroso e che sta prendendo in mano la sua vita», dice il suo avvocato Pasquale Lepiane, che lo ha seguito durante tutto l’iter giudiziario.
Monterosso rimase coinvolto in una delle inchieste più sconvolgenti della storia del crimine in Italia. Il gruppo oscillava tra il richiamo a simboli e riti satanisti e il consumo smodato di droghe. In questo contesto sarebbero avvenuti gli omicidi, in cui i componenti avrebbero avuto un ruolo differenziato. Tutti, comunque, furono ritenuti responsabili degli omicidi di Mariangela Pezzotta, Chiara Marino, Fabio Tollis e del suicidio indotto di Andrea Bontade. Alcuni, ritenuti gli esecutori, ebbero l’ergastolo. Il processo per Monterosso si chiuse con una pena di 27 anni e 3 mesi, oggi quasi interamente scontata.
«Era un ragazzo e non meritava una pena così eccessiva – dice il suo legale, che non vuole entrare nel merito della vicenda giudiziaria –. Adesso è un uomo che si è rimesso in piedi e che guarda al futuro. Vuole una famiglia e dei figli. Il bilancio del percorso in carcere è eccellente».
Al punto che quando il presidente dell’Ordine degli avvocati Massimo Bernuzzi andò in carcere, due anni fa, per avviare la procedura e accogliere il detenuto, la struttura presentò ottime referenze e una relazione impeccabile. «Non era scontato avere la possibilità di lavorare in tribunale – dice l’avvocato –. Ha dimostrato una grande maturità».
La prima borsa lavoro, poi rinnovata, aveva consentito a Monterosso di lavorare in tribunale e tornare alla sera in carcere. Da qualche mese, invece, torna a casa da sua madre, nel Milanese, dopo avere terminato il turno in tribunale e avere salutato i cancellieri e le guardie all’ingresso.