Zia Aya non porta Eitan dai nonni materni: «Lui resta con me, dei Peleg non mi fido»
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Braccio di ferro in tribunale sugli incontri in attesa del rientro. La tutrice chiede che siano sorvegliati dai servizi sociali. La famiglia israeliana replica: «Calpestato l’accordo, la sentenza è diventata un’arma»
/ PAVIA
La sentenza di Tel Aviv sul caso Eitan non appiana i contrasti tra i due rami, materno e paterno, della famiglia. Al contrario, la decisione della giudice Iris Ilutovich Segal, che ha disposto il rientro in Italia del bambino, unico sopravvissuto alla strage della funivia del Mottarone, sulla base della Convenzione dell’Aja sulle sottrazioni internazionali di minori, sembra avere riacceso lo scontro. Al centro, stavolta, ci sono gli incontri con la zia Aya Biran e con i nonni Shmuel Peleg ed Esther Coher, regolamentati dal tribunale prima della sentenza. Secondo un calendario che finora non è stato privo di intoppi, Eitan può restare tre giorni con la zia e altri tre con i nonni materni. Un calendario che la sentenza di Tel Aviv, che non può essere eseguita prima di una settimana, non ha messo in discussione. Gli avvocati dei nonni hanno denunciato la mancata consegna del bambino lunedì sera. Eitan non è stato riportato ai nonni nemmeno ieri, quando un giudice, interpellato in via d’urgenza, aveva dato tempo fino alle quattro del pomeriggio a zia Aya Biran per riportare il bimbo dai nonni Peleg. In serata la zia, che si trova insieme al marito Or Nirko, ha spiegato al tribunale la sua posizione: «Eitan è al sicuro con me, non mi fido dei Peleg».
incontri da sorvegliare
In realtà, dicono fonti legali, non ci sarebbe nulla in contrario a continuare l’alternanza delle visite, ma i Biran chiedono garanzie. Ok agli incontri ma a patto che questi continuino sotto la supervisione dei servizi sociali israeliani. Aya Biran attraverso i suoi avvocati ha sottolineato la particolare situazione in cui i Biran si trovano. Situazione scaturita dalla sottrazione illecita del bambino da parte del nonno Shmuel Peleg, che l’11 settembre prelevò il bambino a casa degli zii e lo imbarcò su un aereo privato con destinazione Israele. Che ci si trovi davanti a un caso di sottrazione internazionale di minori, d’altra parte, lo ha stabilito la stessa giudice Iris Ilutovich Segal, che ha applicato la Convenzione dell’Aja e quindi disposto il rientro del bambino in Italia, a Pavia.
Nella giornata di oggi la Corte distrettuale sarà chiamata ancora a dirimere la questione, che va nel senso opposto al richiamo di collaborazione che la giudice fa in conclusione delle sue 72 pagine di verdetto.
i tempi del rientro
Nella giornata di ieri gli attacchi dei Peleg non sono mancati, anche a colpi di interviste in tv, oltre che attraverso gli avvocati. I nonni materni di Eitan hanno bollato la sentenza di Tele Aviv come «un’arma micidiale nelle mani di Aya Biran», che, hanno aggiunto attraverso il loro portavoce Gadi Solomon, «considera la sentenza come una convalida ufficiale che può impedire alla famiglia di sua madre, la famiglia Peleg, di essere parte della sua vita». «Mentre da un lato sventola convenzioni e leggi, Aya – ha insistito il portavoce della famiglia – calpesta brutalmente l’accordo da lei firmato, e impedisce alla famiglia Peleg di trascorrere “momenti di grazia” col loro amato nipote».
A questo punto l’iter per l’effettivo rientro di Eitan in Italia rischia di complicarsi. Mentre il tribunale dovrà decidere sulle visite, è atteso il ricorso che gli avvocati dei nonni Peleg stanno per depositare. La sentenza di Tel Aviv, comunque, già sospende l’esecuzione del verdetto per una settimana, che è il termine massimo previsto in Israele per la presentazione del ricorso. Non è invece chiaro che cosa accadrà dopo il deposito dell’impugnazione.