Inchiesta Var, sui terreni agricoli della provincia di Pavia sono finite 10mila tonnellate di fanghi-rifiuti
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Al setaccio le aziende pavesi che hanno accettato a titolo gratuito il compost non trattato e tossico
BELGIOIOSO. Tonnellate di fanghi inquinanti, di fatto rifiuti, sparsi su diversi campi della provincia di Pavia. Le telecamere piazzate dagli inquirenti nello stabilimento della ditta Var di Belgioioso, alla frazione Santa Margherita, ora sotto sequestro, hanno registrato, in qualche settimana di accertamenti, 529 viaggi di camion, in entrata e uscita, per oltre 10mila tonnellate di materiale irregolare finito su terreni agricoli coltivati a mais, riso e soia. I prodotti dei depuratori, secondo l’indagine del magistrato Andrea Zanoncelli, entravano nell’impianto, che otteneva dai 100 ai 140 euro a tonnellata, e ne uscivano senza avere compiuto il trattamento necessario per essere sparsi sui terreni.
Ma gli agricoltori della provincia di Pavia, che hanno usato questi fanghi, erano consapevoli di spargere sui propri terreni materiale con alti livelli di arsenico, così come emerso dalle analisi? Alcuni sì, secondo quanto emerso dalle indagini dei carabinieri forestali. Altri avrebbero preso i fanghi, per avere ammendante a titolo gratuito, senza farsi troppe domande. Le indagini sono ancora in corso, ma nell’ordinanza di custodia cautelare per l’accusa di inquinamento ambientale doloso, notificata a tre persone, tra cui Carlo Clerici, 70 anni, amministratore della ditta, e nel decreto di sequestro, entrambi firmati dal giudice Luigi Riganti, sono indicate alcune aziende agricole, attive nei Comuni di Pavia, Belgioioso, Lungavilla, Bornasco e Giussago.
Le analisi sui fanghi
In queste ditte gli investigatori, con il supporto di Arpa, hanno eseguito campionature dei terreni, da cui sono emersi alti livelli di arsenico. Solo il titolare di una ditta risulta per il momento indagato: Roberto Necchi, di Giussago, per l’accusa sarebbe stato a conoscenza del fatto che la Var non consegnasse ammendante genuino e nonostante questo avrebbe continuato a prenderlo. Accusa ancora da provare, basata su una intercettazione.
La testimonianza
L’indagine è partita dagli esposti di diversi cittadini (tra loro anche il consigliere comunale di Linarolo, l’avvocato Fabrizio Gnocchi) infastiditi dai miasmi provenienti dall’impianto, e da alcune anomalie emerse da controlli della polizia stradale su camion in uscita dalla ditta.
Ma determinante, per lo sviluppo degli accertamenti, è stata anche la testimonianza di un ex dipendente Var, rimasto in ditta per poche settimane, tra maggio e giugno di quest’anno, quando ha deciso di licenziarsi. Il dipendente, con una esperienza in sistemi energetici (aveva lavorato anche all’inceneritore della Scotti e al termovalorizzatore di Parona) spiega agli inquirenti quello che accadeva all’interno dello stabilimento, «un impianto realizzato male», chiarendo anche la ragione dei miasmi. «Una delle criticità di questo impianto riguarda le emissioni in atmosfera», spiega il tecnico. Emissioni in cui sono «convogliati i fumi di aspirazione contenenti in larga parte ammoniaca, che dovrebbero passare attraverso un bio-filtro, che non funziona». Il tecnico spiega agli investigatori che nell’autorizzazione all’impianto sono indicati anche i valori limite dell’ammoniaca da emettere in atmosfera, ma che «nessuno in impianto è deputato a eseguire il controllo delle emissioni».
Critica, secondo il tecnico, anche la procedura per il trattamento del prodotto, che usciva dall’impianto ancora come un rifiuto, senza rispettare i tempi previsti per la maturazione, che serve a rendere il compost adatto allo spandimento sui terreni. Non si esclude che la procura possa contestare in un secondo momento, per questo, anche il traffico illecito di rifiuti.