Al Ctrl+Alt Museum di Pavia la storia dell’informatica tra computer, videogames e stampanti 3D
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Giovedì 16 alle 21.15 sarà presentato il libro “La storia dei videogame in 64 oggetti” edito da Harper Collins. Ci sarà il traduttore Mauro Vanetti, sviluppatore di giochi, e si potranno anche vedere alcuni dei pezzi storici descritti nel volume
Era un’officina vuota. Ora ospita oltre milletrecento oggetti che raccontano la storia dell’informatica: dalle macchine da scrivere ultracentenarie alla “Perottina”, la Olivetti Programma 101 del 1965, il primo computer da tavolo italiano, rivoluzionario in un’epoca in cui i computer erano giganti manovrati da tecnici iperspecializzati. È il nuovo museo dell’informatica di Pavia, il Ctrl+Alt Museum, 600 metri quadri ipertecnologici - in cui anche quello che sta nella toilette si comanda a voce - che raccontano come l’informatica abbia cambiato le vite di tutti.
Il museo si trova nella nuova sede di Compvter, l’associazione di appassionati di informatica, tecnologia e retro-computing che conta circa cento soci, nell’area artigianale di via Riviera 39, accanto alla sede staccata dell’istituto Volta: è visitabile gratuitamente su prenotazione (segreteria@compvter.it - 334 6988172). «Ci abbiamo messo due anni, io e Alessio Scipione a progettare e ristrutturare questo spazio» spiega Giuseppe Leone, tra i fondatori di Compvter nel 2008. Il progetto è stato sponsorizzato da Coherency, azienda pavese che si occupa di “internet delle cose” in ambito aziendale, BeSharp che fa “personalizzazione di servizi cloud” per le aziende e Banca d’Asti.
Nell’ex capannone che ospita il museo, la sede di Compvter e Coherency, bauli da palcoscenico sono diventati tv, porta-playstation e bar nello spazio relax immerso tra i cimeli informatici. Le luci si regolano a voce interpellando Alexa (che fa molto altro, grazie alla creazione di connettori personalizzati che la mettono in relazione con oggetti, porte, scaffali che nascondono bunker e simulatori di guida).
Ci si può perdere nell’area Olivetti e in quella Commodore, tra i supporti magnetici, “memorie” come quelle che abbiamo sul cellulare o il pc: ce n’è anche una degli anni Settanta, 44 chili per 40 centimetri circa, conteneva 4 mega. E ancora: consolle dei videogiochi che hanno fatto la storia, stampanti 3D nell’area di prototipazione, un simulatore di guida e un’auto di Formula Uno. C’è anche un biliardo progettato con gli studenti del Cardano in cui grazie a una telecamera e un proiettore viene disegnata sul verde la traiettoria per mettere la palla in buca. E ancora, la collezione di macchine fotografiche.
«Non è solo un museo - spiega Laura Brandolini, Compvter - ma uno spazio di esposizione, di formazione e innovazione». Qui, ogni giovedì sera i soci si riuniscono per progettare il prossimo marchingegno, perchè, come c’è scritto sulla porta dell’ufficio, «Se puoi sognarlo, puoi farlo». E un sabato al mese decine di ragazzi frequentano i CoderDojo, corsi di programmazione per capire cosa c’è dietro lo schermo di un pc e vivere attivamente la tecnologia. «Ora - chiude Brandolini - abbiamo due progetti con l’Agenzia spaziale europea che coinvolgono ragazzi e ragazze da Italia, Grecia, Sudafrica, Iraq, Germania». E a gennaio il museo ospiterà la Global game jam, il più grande evento sullo sviluppo di videogiochi realizzato in contemporanea in centinaia di sedi accreditate nel mondo.
Giovedì 16 alle 21.15 nella nuova sede di Compvter in via Riviera 39 (nell’area artigianale, accanto alla sede staccata dell’istituto Volta) sarà presentato il libro “La storia dei videogame in 64 oggetti” edito da Harper Collins. Ci sarà il traduttore Mauro Vanetti, sviluppatore di giochi, e si potranno anche vedere alcuni dei pezzi storici descritti nel libro. Il volume racconta l’evoluzione dei videogame negli ultimi cinquant’anni e l’impatto rivoluzionario che hanno avuto sulla società. È scritto dagli esperti e dai curatori della World Video Game Hall of Fame (la collezione permanente istituita a New York dal The Strong National Museum of Play).