Draghi, l’economista che ridà voce alla politica
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Dal green al debito: il nuovo approccio dell’ex banchiere unisce sovranità, democrazia e globalizzazione
Solo un economista prestato alla politica come Mario Draghi poteva annunciare l’arrivo di un tempo nuovo, in cui sarà la questione ambientale a liberare risorse ed energie. E questo potrà avvenire solo grazie a un ritorno del primato della politica sull’economia.
È questo il paradosso che ci ha regalato l’anno appena trascorso: un tecnico che ridà voce alla politica. Può essere il segno e l’auspicio della fine di un’epoca di confusione, in cui lo scontro a livello globale non è più tra due varianti di un unico sistema – il capitalismo liberale americano contro il capitalismo di Stato cinese – ma tra gli Stati e le piattaforme che li hanno imprigionati, immobilizzandoli nella fine del tempo per colpa della loro assenza di visione politica. E per riuscire a liberare il tempo, trasformandolo, servivano dei maestri di scacchi capaci di essere sempre diverse mosse davanti all’avversario, di vincere la partita prima ancora di cominciarla. Dei guardiani del tempo in grado di risolvere il trilemma di Dani Rodrik, per cui non è possibile governare garantendo nello stesso momento la democrazia, la sovranità nazionale e la globalizzazione economica.
Secondo l’economista turco, infatti, ogni volta che si trova una soluzione a due di questi problemi si esclude automaticamente il terzo, generando un paradosso senza via d’uscita. Ed è proprio dall’impossibilità di risolvere questo problema, che si è generato il caos della politica. Adesso qualcosa è cambiato. Un anno fa l’ex segretario del Tesoro americano Larry Summers sintetizzava una nuova visione in un paper passato purtroppo sotto traccia qui da noi. In sintesi, si certificava un nuovo orientamento alla gestione del debito pubblico, smontando tutti i parametri che hanno rappresentato i cardini dei rapporti tra crescita, inflazione e debito degli ultimi trent’anni.
Un cambio di paradigma, il manifestarsi di una nuova Weltanschauung: liberare il debito, a patto che questo generi investimenti pubblici con ritorni sul Pil superiori ai tassi a cui ci si è finanziato. Lo stesso ha fatto pochi giorni fa Mario Draghi, in una lettera congiunta con il presidente francese Emmanuel Macron al Financial Times, in cui, a partire dalla ripresa del suo famoso discorso al meeting di Rimini su debito buono e debito cattivo, è chiaro il cambio di passo di fronte alle sfide di una nuova era: in cui la questione ambientale dovrà essere centrale. Sempre un anno fa, quando apparve il paper di Summers, erano lunghe le processioni per convincere Mario Draghi ad accettare il ruolo di salvatore della patria.
Un anno dopo, la pandemia, l’inquinamento, il riscaldamento globale, la scarsità di materie prime, anche e soprattutto quelle necessarie allo sviluppo tecnologico, il motore ingolfato della logistica globale e delle filiere di produzione, ci restituiscono una fotografia impietosa della crisi globale che stiamo vivendo. L’Angelus Novus di Walter Benjamin gira la testa indietro e vede solo macerie.
Avanti non si può guardare. Ovunque c’è un’impotenza diffusa: si riconoscono i problemi, non si ha la forza di rispondere, di proporre soluzioni. La crisi più drammatica è proprio quella della politica, nel tardo capitalismo delle piattaforme è stata troppo a lungo una protesi della tecnofinanza: è passata dall’avere una relazione dialettica con l’economia a essere una semplice propaggine del nuovo capitalismo finanziario.
L’economia ha disintegrato la politica, ha invaso ogni spazio sociale e ogni desiderio collettivo e ha cominciato a produrre anomalie dove il tempo sembrava essersi fermato, sospeso nell’incapacità di guardare avanti. Una situazione di paralisi e staticità poi diventata globale, in cui sembrava che fosse diventato impossibile muoversi: il tempo era finito. “Non c'è più il tempo: solo sogni febbrili”, per citare James Ellroy.
Ecco che però proprio in Italia, Paese anomalo e ingovernabile per eccellenza, massima espressione del crony capitalism, o capitalismo clientelare, dove la politica è entrata in crisi per prima, si intravede la soluzione. L’eventuale elezione al Colle, un passaggio parlamentare che trasformerebbe in maniera definitiva il tecnico in politico, ribadendo la supremazia della politica sull’economia, troverebbe la sintesi al trilemma di Rodrik: aggiungendo democrazia a sovranità e globalizzazione. Riconoscendo così in Mario Draghi l’incarnazione materiale di un nuovo Zeitgeist, un nuovo spirito del tempo, il più lontano e diverso possibile dalla catastrofe.