Remo Girone racconta Simon Wiesenthal «Braccava i nazisti per sete di giustizia»
foto da Quotidiani locali
«Simon Wiesenthal braccava i criminali nazisti non per vendetta, lui scampato più volte alla morte nei lager, dove aveva perso molti familiari e compagni, e dopo anni di sofferenze terribili che l’avevano ridotto pelle e ossa, ma solo per un alto e profondo senso di giustizia». Remo Girone domani sera al teatro Sociale di Stradella (ore 21), nel mese del Giorno della memoria, sarà nei panni dell’ebreo austriaco, che nel dopoguerra contribuì all’arresto di oltre mille criminali di guerra del Terzo Reich, tra i quali Adolph Eichmann. «Il cacciatore di nazisti» (regia di Giorgio Gallione, scene e costumi di Guido Fiorato) è una pièce a metà tra un avvincente thriller di spionaggio e l’indagine storica: Girone-Wiesenthal, nell’ultimo giorno di lavoro prima della pensione, racconta, mentre si trova nell’ufficio museo del Centro di documentazione ebraica da lui stesso fondato a Vienna, i 58 anni dedicati alla ricerca dei responsabili dell’Olocausto (molti dei quali si erano rifugiati nella Spagna franchista e nell’allora ospitale Sudamerica) e della morte nei campi di sterminio di 11 milioni di persone, tra i quali 6 milioni di ebrei. Un testo, basato sulle “Memorie” di Wiesenthal, che si interroga sulla feroce banalità del male e sulla sua genesi. Girone, 75 anni compiuti lo scorso 1° dicembre, deve la sua popolarità al Tano Cariddi della serie tv “La Piovra”, ma è soprattutto in teatro che si è guadagnato l’apprezzamento della critica.
Prima del “Cacciatore di nazisti” si era mai cimentato con i temi dell’Olocausto?
«Sì. Con mia moglie Victoria al Quirinale abbiamo letto le lettere di deportati italiani e in quell’occasione abbiamo conosciuto la senatrice Liliana Segre. Al Festival di Spoleto del 1978 recitammo un testo strong come “L’Accademia di Ackermann” di Sepe».
Com’è il suo Wiesenthal? Si è ispirato a mostri sacri come Laurence Olivier e Ben Kingsley che l’hanno interpretato prima di lei?
«In Dossier Odessa, lo interpreta anche Shmel Rodensky. Tutti grandissimi, ma sinceramente non mi sono ispirato a nessuno dei tre. Poi il mio Wiesenthal sa essere anche auto-ironico. Un uomo che cercava giustizia, non vendetta».
Lei vive a Roma. Cosa pensa di quanto è accaduto ad Acca Laurentia?
«Impressionante. Siamo tornati al 1924. Ma i raduni dei camerati dovrebbero essere vietati. O mi sbaglio?»
Progetti futuri?
«Col “Cacciatore” sarò a Mondovì e a Oleggio, dopo Stradella. Ci sono date fino a metà marzo. Quanto al lungo periodo, le rispondo con un aneddoto su Paolo Stoppa. Già anziano, recitava in Shylock di Shakespeare. Entro in camerino e gli dico: “Paolo. il teatro è pieno”. Lui si volta verso di me e risponde secco: “Vogliono vedere se muoio in scena...».