La Fenice come una perfetta casa di bambole. ll progetto (contestato) torna a splendere
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foto da Quotidiani locali
«La grandezza del mio modello co’ suoi contorni diviso in porzioni per poter esaminare le interne disposizioni ridotte nelle più piccole parti alla scala modulatoria, la diligenza e la precisione con cui mi fu eseguito dai nostri bravi artefici, farà conoscere che non ho risparmiato fatica per ridurlo nel concesso tempo al suo compimento».
Così scriveva nel 1790 l’architetto Giannantonio Selva, a illustrare il suo modello del Teatro La Fenice di Venezia, che avrebbe poi effettivamente realizzato tra il 1790 e il 1792 al termine di un concorso bandito nel novembre del 1789 dalla Nobile Società dei Palchettisti per realizzarlo. Un concorso concluso in modo confuso e un po’ pilatesco, perché se a costruire il nuovo teatro fu effettivamente il Selva, a vincere la competizione a cui parteciparono alcuni dei maggiori progettisti teatrali del tempo, anche sull’onda del consenso dell’opinione pubblica e delle polemiche montanti fu il progetto del veneziano Pietro Bianchi, a cui andò poi il premio attribuito dalla commissione.
FINO AI MINIMI DETTAGLI
Ma il magnifico modello ligneo del Selva esiste ancora e ora a restaurarlo – per esporlo nuovamente all’interno dell’itinerario di visita del teatro – con un lavoro meticoloso quanto brillante è stata la restauratrice Stefania Sartori, sotto la supervisione della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e il finanziamento dei i Comitati Privati Internazionali per la Salvaguardia di Venezia, in modo particolare da America-Italy Society of Philadelphia, dal Comitato Austriaco Venedig lebt e dalla Fondazione V-A-C.
«Una casa di bambole», lo ha definito il soprintendente veneziano Fabrizio Magani, proprio per la possibilità di osservarlo all’interno, ora parzialmente limitata dall’apposizione del tetto sul modellino, prima scoperto, per evitare la polvere. Ma il soprintendente della Fenice Fortunato Ortombina ha già promesso che in alcuni periodi verrà scoperto, proprio per consentire ai visitatori dei ammirarne l’interno curati fino ai minimi dettagli, fino ai pavimenti alla veneziana presenti nelle terrazze e nelle più minute decorazioni policrome, anche se alcuni elementi, come i personaggi in miniatura che “popolavano” il modello, sono andati perduti nel corso del tempo.
Il restauro ha rivelato come nel corso del tempo si sia più volte intervenuti con ridipinture e piccoli interventi sul modellino, tra quelli – non più di dieci su ventinove progetti partecipanti al concorso, nonostante la presentazione fosse espressamente richiesta dal bando – ad essere appunto decorati. Forse proprio grazie alla perfezione del suo manufatto, realizzato dall’intagliatore Isidoro Ridolfi e dal dipintore Costantino Cedini, che Selva vinse il concorso.
E dal modellino vediamo come prevedesse di inserire un riquadro con “Apollo e le Muse che civilizzano l’umanità” sulla facciata verso il canale, mentre quella verso San Fantin avrebbe dovuto essere ornata con scene di “Apollo e Marsia “e di “Orfeo che ammansisce Cerbero”.
Il modellino nel corso del tempo venne spostato in luoghi diversi della città, nel 1794 da San Zulian a San Geremia e da qui alla Fenice, poi passò all’Accademia di Belle Arti dove venne restaurato. Fu persino ritenuto perduto per poi ricomparire in tempi recenti in tre mostre: “I teatri pubblici di Venezia” nel 1971, “Venezia e lo spazio scenico” nel 1979 a Palazzo Grassi e infine in “Le Venezie possibili” nel 1985.
COSTRUITA IN DUE ANNI
Bisognoso di ulteriori restauri, nel 1997 il lavoro venne affidato a Leuthenmayr e Ghezzo per un intervento conservativo. Grazie anche alla attività dell’Archivio storico si è ora giunti infine al restauro definitivo di questa Fenice lignea in miniatura che si potrà vedere durante le visite guidate del teatro, con la possibilità di ammirare per ora solo attraverso un video anche le parti interne.
Era una Venezia, quella della Fenice del Selva – come ha ricordato anche Marta Boscolo della Direzione Regionale dei Musei del Veneto, durante la presentazione del restauro– che aveva già sette teatri in funzione, di proprietà delle famiglie veneziane del tempo come i Vendramin, i Grimani e i Tron.
La nuova Fenice di Giannantonio Selva, con le demolizioni degli edifici che sorgevano sull’area che l’avrebbe ospitata, fu costruita in soli due anni, tra l’aprile del 1790 a quello del 1792, ma questo non servì a smorzare le polemiche dei gruppi contrari al nuovo teatro. Contestavano l’aumento dei costi di costruzione. E contestavano anche a ritmo di sonetti (Belle pietre, bei legnami / Bassa orchestra, i Palchi infami / Scale nuove d’invenzion / Per taverna e per preson / Carta impressa tutta intorno / Remondini de Bassan / Rode e macchine inventae / Perché tutto vada pian / Gran speranza, gente assae / E assai pochi battiman).
E gli strali arrivarono a colpire perfino l’innocente scritta “Societas”, che ancora appare sulla facciata dell’edificio, in cui si voleva leggere, polemicamente: Sine Ordine Cum Irregularitate Erexit Theatrum Antonius Selva.