Nata in Bangladesh, cittadina italiana e neo ingegnera che progetta supermarket. «Lo studio, un valore»
![Nata in Bangladesh, cittadina italiana e neo ingegnera che progetta supermarket. «Lo studio, un valore»](https://www.gedistatic.it/content/gnn/img/nuovavenezia/2024/03/13/174023544-bcff648b-5578-498a-a7d3-194183f9c384.jpg)
foto da Quotidiani locali
Afsana Bahadur Mimma, ingegnere civile, una voce dolce e pacata e il portamento sicuro, è tra i laureati premiati sabato sera con l’University Talent Student 2024 durante la serata organizzata dalla Venice Bangla School. Vive a Marghera e ha ottenuto la cittadinanza italiana.
Qual è stato il suo percorso studi?
«Mi sono laureata in Ingegneria civile a Padova e ho trovato lavoro come ingegnere all’In’s Mercato, ossia nel gruppo Pam, nella sede di Marcon. Mi occupo di grande distribuzione organizzata, settore direzione sviluppo immobiliare e mi occupo della progettazione dei nuovi punti vendita e degli spazi commerciali. In futuro spero anche di lavorare nel campo residenziale».
È stata dura trovare lavoro?
«Dopo la triennale ho impiegato qualche mese, non molto. Adesso sto dando gli esami della magistrale, studio e lavoro».
Donna, bengalese, ingegnere civile... Si sente un esempio per la comunità?
«Mi auguro di esserlo e spero che anche gli altri capiscano il valore dello studio. Non devono necessariamente diventare tutti ingegneri e medici, basta perseguire il proprio percorso di studi, ognuno ha le sue attitudini e le sue preferenze. Il bello è saper valorizzare quello che uno studente vuole fare e sapere in cosa si è capaci».
Quando è arrivata?
«Sono qui da quando avevo un anno e mezzo, nel’ 97, ho studiato alla Baseggio e alla Foscolo, poi al liceo scientifico Morin alla Gazzera».
La sua famiglia l’ha supportata?
«Mia mamma è laureata in Bangladesh, mio papà diplomato. Entrambi ci tenevano tantissimo che riuscissi a proseguire con gli studi me soprattutto non fare i soliti lavori per cui è venuto mio padre in Italia, ossia trovare posto nel campo della ristorazione. Non tolgo nulla a chi lo fa, e non è certo poco rispetto da parte mia, ma non voleva facessi un lavoro fisico faticoso, come il cuoco, che ti costringe tante ore in piedi. O il cameriere. Lui voleva che io non avessi solo questa scelta davanti, voleva che potessi scegliermi l’ambito che desideravo».
È stata discriminata perché donna?
«No. Mai. Tra l’altro noi abbiamo un forte legame a livello familiare, siamo un po’ come gli italiani del Sud. Rispetto ai nuclei del Nord, noi siamo famiglie allargate, legati tra di noi ma anche a zii e cugini».
Definirebbe la sua una famiglia bengalese progressista?
«Anche nel nostro caso dipende dalla cultura della famiglia, la mia è sempre stata aperta, i miei genitori mi hanno sempre incoraggiato a esplorare e vedere cose nuove».
Può dire lo stesso degli altri?
«Noto, a volte, la differenza con gli altri bengalesi, ma credo prendano certe decisioni perché poco informati. Per questo sono utili eventi come quello della Venice Bangla School che aiutano a capire che non c’è nulla da temere o da aver paura, che ci sono percorsi e possibilità infinite».
Sul palco portava il velo, si è mai sentita giudicata?
«Il velo me lo metto da poco, è una scelta che intrapreso di recente, dopo un percorso personale, per me è un traguardo. All’inizio non lo mettevo, non mi serviva, non ne sentivo la necessità a livello spirituale. Ma volevo fosse un momento deciso liberamente, perché essendo cresciuta qui il velo crea diffidenza, purtroppo. E io volevo essere convinta e sicura nel momento in cui me lo sarei messa. Ora è naturale».
Cosa temeva?
«Da ragazzino tendi a uniformarti, io ammiravo le ragazze che in giovane età lo indossavano, ma mi sono, in passato, sentita giudicata anche per il colore della pelle, per cui avevo paura di sentirmi fuori luogo. Ora ho capito che non è come la gente ti vede ma come ti senti tu. E adesso sono più sicura di me e a mio agio.
E sul posto di lavoro?
«Lo porto ed è normale. Il primo colloquio è coinciso col primo giorno in cui lo portavo, ed è andato tutto liscio. Nessuno mi ha chiesto nulla, ero quasi stupita, se non delusa. Ed anche all’interno di realtà aziendali complesse dove ci sono gerarchie e uffici temevo si sentisse questa differenza, invece ho trovato un ambiente accogliente se non familiare».
Incoraggerà gli altri?
«Sono orgogliosa di aver conosciuto altri laureati e altre famiglie che credono negli studi in Italia».
Il suo sogno?
«Moltiplicare le esperienze e potermi in futuro rendere utile in campo umanitario».