Il Padiglione Russia della Biennale di Venezia prestato alla Bolivia
La Russia – dopo la chiusura nelle due ultime edizioni di Arte e Architettura conseguenti allo scoppio del conflitto in Ucraina – tornerà ad aprire le porte del suo padiglione ai Giardini in occasione dell’ormai prossima Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, la sessantesima, in programma dal 20 aprile al 24 novembre. Ma a esporre non saranno artisti russi, ma boliviani, visto che la Russia ha deciso di cedere allo stato plurinazionale della Bolivia – paese amico – l’uso del suo padiglione.
È una mossa clamorosa e molto abile dal punto di vista della Russia, che torna così in qualche modo alla Biennale e che rischia di creare problemi anche da un punto di vista politico, in una Biennale già “esplosiva” per le polemiche e le richieste di esclusione legate alla partecipazione di Israele e dell’Iran, tra il conflitto in corso a Gaza e la repressione verso gli intellettuali e le donne del Paese islamico.
Saranno in tutto 25 artisti quelli del continente sudamericano, soprattutto indios, che esporranno le proprie opere, in linea anche con la tematica di questa Biennale intitolata “Stranieri ovunque” e affidata al curatore brasiliano Adriano Pedrosa, che guarderà anche alle espressioni artistiche indigene.
La Bolivia è uno dei Paesi che si è astenuto sulla risoluzione dell’Onu di condanna dell’invasione dell’Ucraina da parte russa e ha espresso anche parere negativo verso le sanzioni economiche che hanno colpito il Paese governato da Vladimir Putin. Solidi rapporti economici tra Russia e Bolivia sono anche legati all’esplorazione di gas naturale condotta nel paese sudamericano dal colosso russo Gazprom e vivo è anche il commercio di armi richieste al Paese di Putin per combattere il narcotraffico, che in Bolivia si trascina da anni. Il curatore del Padiglione sudamericano è il ministro delle Culture, della decolonizzazione e della depatriarcalizzazione Esperanza Guevara mentre il commissario è il viceministro Juan Carlos Cordero Nina.
Il progetto espositivo si intitolerà: «Qhip Nayra Uñtasis Sarnaqapxañani» (Guardando al futuro-passato, ci muoviamo in avanti), con artisti boliviani e di altri Paesi dell’America Latina. «Questa mostra è un’occasione importante per porsi domande e cercare risposte su come ampliare i nostri orizzonti, per tutti, da sud a nord, da est a ovest, senza discriminazioni», ha affermato il ministro Guevara.
Per gli organizzatori, «il Padiglione della Bolivia, ha l’opportunità di essere all’interno dei Giardini, che è l’area espositiva più prestigiosa dell’intera Biennale grazie alla Federazione Russa che ha creduto nell’importanza, nella qualità e nei contenuti del nostro progetto, concedendoci il suo spazio, il suo padiglione per questa edizione».
Nessuna dichiarazione al momento da parte del Paese russo.
La Bolivia nel 2009, con l’adozione di una nuova Costituzione, si è ridefinita come «Stato Plurinazionale» riconoscendo i diritti di tutti i gruppi indigeni al suo interno. Tra gli artisti che esporranno, Elvira Espejo Ayca, indigena boliviana e direttrice del Museo Nazionale di Etnografia e Folklore a La Paz fino al 2020. Ma anche Lorgio Vaca, considerato uno dei migliori pittori di murales del Sudamerica. O ancora Oswaldo De Leon Kantule, noto anche come “Achu” , un artista visivo della nazione Kuna di Panama.
La Bolivia è stata per la prima volta presente alla Biennale con un proprio padiglione nel 2017, in uno spazio nella città storica, in precedenza artisti boliviani avevano esposto all’interno del Padiglione dell’istituto Latino-Americano che dal 1972 ha raccolto artisti di vari paesi del Sudamerica. La Bolivia era presente anche alla Biennale Arte di due anni fa, con un proprio padiglione, sempre esterno ai Giardini e all’Arsenale. Questa volta però il “matrimonio” con la Russia farà sicuramente discutere.