Dopo Meta e Twitter anche Amazon licenzia
Il 2022 sarà un anno da ricordare per i colossi tech, perché nessuno di loro è stato risparmiato dalla crisi che ha costretto l'intero settore a rivedere i piani e licenziare migliaia di dipendenti. Dopo Twitter che ha tagliato la metà dei lavoratori e Meta che ha annunciato il più robusto piano di ristrutturazione societaria della sua storia, adesso tocca ad Amazon ridurre l'organico lasciando a casa 10.000 persone tra ingegneri e impiegati. Non sono arrivate ancora comunicazioni ufficiali ma nei giorni scorsi l'allarme è stato lanciato dal Wall Street Journal, che ha rivelato il piano voluto dall'amministratore delegato Andy Jessy (successore del fondatore Jeff Bezos) per la revisione dei costi. L'anticipazione è stata ripresa dal New York Times, secondo cui entro la fine della settimana la società di Seattle avvierà i tagli al personale, partendo dalle divisioni dedicate ai dispositivi (Alexa in testa), dal retail e dalle risorse umane.
Non è la prima volta che Amazon licenzia ma cifre alla mano l'attuale crisi innescata da inflazione, riduzione dei consumi e mutamenti geopolitici provocati dall'invasione russa in Ucraina, non può essere paragonata con quanto avvenuto nel 2001, quando l'esplosione della bolla delle dot-com portò sul lastrico tante compagnie, obbligando tutte le altre a tagliare le spese per restare a galla. Amazon si alleggerì all'epoca di 1.500 lavoratori, ora si parla di un numero sei volte maggiore, perché nel frattempo l'ex Cadabra è diventato un gigante attivlo in molteplici mercati, con una forza lavoro globale di oltre 1,5 milioni di unità. Se fossero confermati i 10.000 licenziamenti (distribuiti nel tempo e tra i vari team, tenendo a mente che più del 90% dei posti tagliati riguarderanno il mercato americano), si tratterebbe di un taglio pari al 3% del totale dei dipendenti, mentre considerando anche gli addetti ai magazzini e i lavoratori a ore saremmo sotto l'1% complessivo.
Ciò non toglie che la mossa rappresenta un'inversione di tendenza per Amazon, preoccupante per gli investitori seppur prevedibile, perché dopo la clamorosa impennata del fatturato nel biennio 2020-2021 – quando con la pandemia centinaia di persone scoprirono improvvisamente il commercio elettronico – era impossibile pensare di mantenere quei ritmi di crescita e profitti. Se il blocco degli ordini in Italia, Francia e altri paesi può essere considerato il simbolo di quel periodo, i 10.000 licenziamenti (dopo aver ridotto di quasi 80.000 unità l'organico tra aprile e settembre scorso) e il blocco totale delle assunzioni (compresa Amazon Web Services, la divisione di cloud computing da cui arrivano gran parte dei ricavi societari) nell'imminenza del Black Friday e delle festività natalizie che rappresentano il periodo più redditizio dell'anno, sono i segnali di una crisi che non risparmia nessuno. Tanto che pure Apple e Microsoft hanno pianificato un rallentamento per le nuove assunzioni.
Se Amazon e Meta rappresentano la cima di una piramide costretta a mutare forma per alleggerire un peso al momento insopportabile, alle loro spalle ci sono Uber, Getir, Booking, Twitter, Peloton, Stripe, Lyft, Salesforce, compagnie in parte meno note ma importanti, ognuna delle quali ha annunciato licenziamenti per migliaia di persone o comunque ristrutturazioni interne con tagli superiori al 10% della propria forza lavoro. Con organici dilatati a dismisura nel corso della pandemia, seguendo l'errato presupposto del trionfo dell'e-commerce e con la pubblicità online a foraggiare le casse, adesso è per tutti tempo di giocare in difesa, consapevoli che l'ondata non è ancora finita e che ulteriori tagli sono prossimi a venire.