Verona, i nostri tre giorni «in famiglia»
Seduta sulla solita panchina, la signora Gabriella accarezzava il corpo della Madonna. Con quella statua sempre in braccio, era stata indubbiamente la più fotografata di tutti. Il Congresso mondiale delle Famiglie era quasi finito, le camionette della Polizia tornavano al deposito, i giornalisti sgranocchiavano i biscotti avanzati dal buffet: lei parlava con la stessa energia delle 72 ore precedenti di «Bergoglio pervertitore», «inferno per gli omosessuali» e «traffico di organi delle associazioni abortiste».
Sfiniti dalla tre giorni (in alto il nostro videoracconto), siamo crollati di fianco a lei. Non volevamo intervistarla, a dirla tutta. Ma per la gentilezza che ci si scambia tra chi condivide una panchina, le abbiamo chiesto che cosa diavolo facesse, quando non pregava e non stringeva quella statua. Finalmente s’è scordata dell’Universo e ha parlato di se stessa: «Sa, io mi sono sposata che ero molto giovane, e già incinta. Mio marito era ateo come me. Abbiamo avuto sei figli. Ma ero triste, sola e non amata. Cercai l’illusione dell’amore in altri uomini. Molti altri uomini. Ero un’adultera infelice. Un giorno mi avvicinai a un gruppo di donne che recitavano il rosario e provai anch’io. Da allora non ho più smesso, sa? Ogni singolo giorno prego almeno per due ore. No, mio marito non si è mai convertito. Dopo 25 anni insieme ha scelto di abbandonarmi. Non sopportava la mia fede un po’ estrema. I nostri figli sono andati tutti con lui. Nessuno di loro è credente, eh eh. Se li sento? Diciamo ogni tanto. No, in realtà non molto». Lasciamo Verona con la sua voce alle nostre spalle: «Mi raccomando, trattate bene queste parole».
Ecco, le parole.
In questi tre giorni a Verona abbiamo sentito circa 70 volte la parola «Dio», 80 volte la parola «Stato» e almeno 90 quella «famiglia naturale».
Abbiamo stretto tra le mani un feto di plastica grande quanto una noce.
Abbiamo ascoltato le testimonianze del fondatore del Family Day Mario Gandolfini («L’aborto è un omicidio») e di sua figlia Maria («Sbaglia, protesto»).
Abbiamo sentito «l’urgenza di difendere la famiglia naturale» («Come si difende la porta», ha precisato il calciatore Nicola Legrottaglie), senza però capire da chi o cosa fosse sotto attacco.
Abbiamo letto «la prima favola no gender», scritta da Maria Chiara.
Abbiamo sentito parlare di «distruzione della famiglia», «sostituzione etnica», «finanziamenti di Soros», «aborti al nono mese» e «omicidio».
Abbiamo persino sentito urlare decine di «buffone» e «venduto» agli intervenuti al Congresso solo perché erano intervenuti al Congresso.
Più che di Dio, abbiamo sentito un estremo bisogno di trattare bene le parole. Con la delicatezza che meritano le cose di cui parlano. Come la storia della signora Gabriella. Che solo alla fine dei tre giorni, ha fatto la predica più bella.