Dalla sicurezza al clima: le parole degli studenti di Trieste per Mattarella tra richieste e applausi
TRIESTE L’ingresso di Sergio Mattarella e Borut Pahor in università è salutato dall’applauso delle studentesse e degli studenti seduti sui gradini dell’ateneo, con i telefonini in tasca e gli appunti lasciati sfogliare dal vento. Linda Nicole Ventura e Alessandro Brollo, all’ultimo anno di Scienze del governo, escono da lezione appena in tempo: lei, triestina, ricorda di quella stretta di mano, «talora discussa, ma molto sentita» per quel che ha significato «per il mio futuro di cittadina europea».
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Lui, fuorisede, spera che Mattarella e Pahor possano stringersi la mano ancora e questa volta tenderla verso quelle terre ancora divise dai conflitti in corso, dai «missili in Ucraina», dal «genocidio in Palestina». Avrebbe voluto dirlo di persona al Presidente della Repubblica, o almeno che questi avesse potuto vedere quelle grafiche che di solito affollano le bacheche all’ingresso della sede di piazzale Europa, ieri rimosse per ragioni di sicurezza, o «forse per non farli entrare in contatto con il dissenso studentesco», dice il ragazzo. Eppure, riflette, lo stesso Mattarella ha voluto fermarsi a salutare i tanti ragazzi lì a guardarlo come a un modello, e «forse quei manifesti li avrebbe letti».
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Alcuni volantini si trovano ancora in ateneo, aggirandosi ai piani superiori verso l’aula magna: l’appello per i bambini di Gaza, l’invito a marciare per il clima, la protesta contro il caro affitti. Il numero da chiamare, 1522, per ricevere aiuto in caso di violenza di genere. «Avremmo voluto ringraziarlo ma dirgli, anche, che noi ragazze spesso non ci sentiamo al sicuro, quando torniamo a casa la sera», dicono Martina Cesconetto e Anna Ciesch, entrambe iscritte a Economia: aspettano l’arrivo di Mattarella ripassando dal tablet per il prossimo esame, ragioneria generale e applicata, sedute sullo stesso piazzale dove mesi prima assieme ad altre compagne di corso si erano fermate nel nome di Giulia Cecchettin, loro coetanea.
Accanto a loro l’amica Silvia Ruisi, studentessa di Scienze politiche, emozionata per aver visto Mattarella «salire tutti quei gradini» fino all’università che «noi invece certe mattine cerchiamo di evitare», entrando dall’ingresso laterale: è «un gesto semplice ma simbolico, ci ricorda della soddisfazione che c’è dopo la fatica».
Al Presidente le tre ragazze avrebbero espresso l’ideale di «un Paese più a misura nostra»: più sicuro per le donne, più giusto per le minoranze, «più sostenibile e che dia ascolto alle cose che ci stanno a cuore», dice Emma, studentessa di Mediazione linguistica e attivista di Fridays for Future. Sta sistemando gli appunti di lezione, seduta due panchine di fianco a Carla Garufi e Federica Stella, che invece ascoltano le lectio magistralis di Mattarella e Pahor in streaming dallo smartphone.
«Su quel palco ci sono anche i nostri insegnanti, siamo orgogliose», dicono le due studentesse di Giurisprudenza, una da Catania e l’altra da Taranto, colpite dalle immagini dei due Presidenti e da come «due culture che pensavamo così diverse siano state capaci di parlarsi».
Al Presidente avrebbero voluto chiedere di «superarle tutte, le divisioni»: tra classi sociali, generi, provenienze geografiche. E anche quelle che «ancora ci sono tra Nord e Sud, dove non passa neanche un treno»: una terra «senza infrastrutture, opportunità di studio e lavorative, risorse, prospettive», una casa che «abbiamo lasciato per sognare qualcosa di più, ma alla quale sarebbe bello poter tornare».
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